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Time For Print, con e senza disastri

TFP – Ph: Silvia Vaulà, MUA: Aurora Lanfranco, Model: Laura Jiang, Styling: Collezione Privata

 

TFP, sta per “Time For Print”, sarebbe a dire “tempo in cambio di una stampa” (ora più comunemente di un file). Si tratta di una formula collaborativa normalmente tra un fotografo e dei modelli, che può anche includere MUA (Make Up Artist, detto più brutalmente “truccatore”), HS (Hair Stylist, detto prosaicamente “parrucchiere”), stylist (colui o colei che si occupa di procurare abbigliamento e accessori) e tutti i possessori di location, veicoli, mobili antichi, cavalli e tutto quello che può servire per fare una foto.
Si tratta di una collaborazione nel senso che nessuno paga o viene pagato; lo scopo è quello di

realizzare una foto insieme che possa essere utile a tutti, per fare esperienza, per fare portfolio, per sperimentare qualcosa di nuovo che non si potrebbe testare direttamente su un cliente.

Ovviamente, dato che ognuno la condividerà attraverso i propri canali con tutti i credits, parliamo anche dell’agognata visibilità, che può rivelarsi però un’arma a doppio taglio.
Infatti, visto che in fondo non costa quasi niente, molti sono tentati di farvi ricorso dato che mal che vada non c’è nulla da perdere se non un po’ di tempo.
Le cose non stanno esattamente così: il TFP è un ottimo strumento ed è utilizzato a tutti i livelli, ma va usato bene, altrimenti si fanno solo danni a sé a agli altri.
La discriminante fondamentale per capire se un lavoro si può fare in TFP, o se invece qualcuno dovrebbe pagare qualcun altro, è stabilire se quella foto è parimenti utile al portfolio (o agli scopi) di tutti gli attori in gioco.
Un primo criterio è quello della qualità: normalmente un TFP avviene tra pari, ovvero tra amatori o tra professionisti che si posizionino sullo stesso livello. In fondo il “nessuno paga nessuno” è l’equivalente del “tutti pagano tutti, ma di fatto ci si scambierebbe la stessa cifra”.
Il secondo criterio è capire se il tipo di foto che si ottengono dal TFP effettivamente servono a tutti.
Infatti, un errore comunemente commesso è pensare che avere una foto in più porti in ogni caso del valore o che faccia comunque esperienza. Spesso però non si considera che quella foto continuerà a girare e che il nostro nome (e se si tratta di un modello pure la faccia!) o quello della nostra azienda o marchio, le sarà sempre associato. Oggi più che mai, nel momento in cui il file è nelle mani di tutti i partecipanti al TFP ne perdiamo il controllo e molto probabilmente ci troveremo sempre nei “credits” perché quelli erano gli accordi iniziali e per correttezza verranno mantenuti.
Sul TFP si potrebbe parlare per ore, credo che dedicherò a questo argomento molti altri post.
Ma per incominciare, date queste premesse, vorrei fare un elenco delle situazioni più a rischio.
Modelle/i: spesso si inizia posando per qualche amico senza essere passati per un test fotografico (Ahi! Ahi!) poi si entra in un giro di fotoamatori con cui si fa del TFP e il web si riempie di vostre immagini in cui siete stravaccati sul divano della nonna di chi ci ha messo la location mentre masticate con malizia una collana di perle finte, inquadrati in modo da evidenziare tutti i vostri difetti.
Come capirete a questo punto non vi posso proporre ad un cliente per indossare un suo abito, i suoi gioielli, un suo cappello. La vostra immagine pubblica è bruciata. Per cui se non avete altre aspirazioni e tutto questo vi diverte va benissimo, altrimenti non è il primo passo per diventare fotomodelli/e.
MUA/HS: vi conviene scegliere voi la modella o almeno concordarla con il fotografo e avere il diritto di veto. Se la ragazza infatti ha una brutta pelle, dei brutti capelli, le labbra disidratate, il viso troppo largo o qualunque difetto che vi metta in difficoltà, anche se farete dei miracoli sembrerà sempre che non abbiate fatto abbastanza, perché ovviamente si vedrà solo il risultato finale e non il prima e il dopo. Guardate bene anche il portfolio del fotografo (o dei fotografi) che parteciperanno allo shooting. Sanno mettere le luci e post produrre? Non ci saranno delle ombre troppo dure a evidenziare i difetti della pelle? Non verrà fatta una post troppo “plastificante” che cancellerà completamente il vostro lavoro?
Stylist/Location: la tentazione è forte perché per voi sono foto gratis! E pensate che in fondo se non avete delle foto da mettere su Facebook o sulla pagina web questa sia veramente un’occasione da non perdere. In più il nome gira, vi darà visibilità, parleranno di voi, eccetera.
Vi siete chiesti se le foto che verranno realizzate sono in linea con l’immagine del vostro marchio?
Se vi rivolgete alle famiglie, le immagini saranno per famiglie? Se il vostro prodotto è elegante, le immagini saranno eleganti?
Sono domande importanti, perché ancora prima del problema della qualità c’è quello del messaggio:
mettere in giro una foto che non convoglia il messaggio giusto è più dannoso che non metterne affatto. E poi ovviamente c’è la qualità; considerate che una volta sulla vostra pagina è probabile che i vostri clienti pensino che quelle immagini le avete commissionate e pagate.
Fotografo: alla fine l’80% della foto dipende da lui/lei. Dovrebbe essere lui/lei a dirigere gli altri che costituiscono la sua squadra: se non è soddisfatto delle foto o ha scelto male i collaboratori o non è stato in grado di dirigerli. In quanto fotografo ha dalla sua il vantaggio che può sempre accidentalmente formattare la card.  Il rischio, soprattutto per il fotoamatore, è che pur di far foto e stare dietro alla propria passione, finisca col proporsi a tutti e non dire no a nessuno, mettendo in giro foto che avrebbe fatto meglio a non scattare mai. Anche qui, finché si diverte non c’è nulla di male, ma potrebbe scontrarsi col rifiuto di alcuni modelli/e o alcune location che per ragioni d’immagine non vogliano finire in un portfolio di  basso profilo.

 

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