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Esiste la buona fotografia o se non è buona, non è fotografia?

Se chiedeste a dieci fotografi cos’è secondo loro una buona fotografia, otterreste sicuramente dieci risposte diverse. Ma tenendo conto che “fotografia” è un sostantivo e “buona” è il suo aggettivo qualificativo, per me una buona fotografia deve essere innanzitutto una fotografia.
Vi lascio due letture, un articolo su Peter Lindbergh (noto ai più come l’inventore delle supermodels degli anni ’90) e uno del blog Il Fotocrate, di Michele Smargiassi, che c’entrano con cosa sto per dire e mi trovano particolarmente d’accordo.
Partiamo dalla fotografia, che è una roba che tanto per cominciare si fa con della luce e un apparecchio fotografico. Posso sceglierlo analogico o digitale e, soldi permettendo, anche decidere il formato; quindi prima sceglierò gli ISO, quelli reali della pellicola o quelli effettivi del sensore, poi sceglierò un obiettivo con una certa focale, un tempo di esposizione e un’apertura di diaframma. Modellerò per quanto possibile la luce e poi sceglierò un punto di vista. Se il soggetto è vivo e senziente cercherò anche di farci due parole.
Se ho fatto un buon lavoro, dovrebbero verificarsi entrambe le seguenti cose: l’immagine che ne viene fuori nel modo più disgraziato (ovvero facendosi fare un jpg dalla macchina fotografica o portando il rullino da un “le tue foto in un’ora”) deve essere un’immagine interessante che ha un suo senso e una sua ragion d’essere; il soggetto visto dal vero da qualcuno che si trovi idealmente con me al momento dello scatto deve essere meno interessante della mia foto. In caso contrario ho solo catturato quello che avevo davanti all’obiettivo senza portare del valore aggiunto. Non che ci sia nulla di male a limitarsi a catturare quello che c’è davanti all’obiettivo, è la classica foto ricordo, va bene, ha una sua finalità, ma non è fotografia, così come la lista della spesa non è letteratura
Partiamo dal secondo punto che è forse quello più facile da capire e ne ho già parlato nell’articolo sulla Phigography: se uno si trova in Giappone durante la fioritura dei ciliegi, o è completamente negato per la fotografia, o se porta a casa una foto qualunque, anche fatta col telefono, tutti gli diranno “wow, che bella foto!”. E subito egli si premurerà di dichiarare che essere lì è comunque tutta un’altra cosa rispetto alla foto, confessando di fatto il proprio fallimento come fotografo di paesaggio.
Idem se assolda un modella da urlo con i migliori stylist, parrucchieri e make-up artist: la foto piacerà, ma piacerà di più della modella vista dal vivo prima dello shooting? Se la risposta è no, non ha fatto una foto, ha solo catturato quello che aveva davanti, perché nell’immagine che ne viene fuori non c’è nulla di suo, non ha portato del valore fotografico aggiunto. Se è intervenuto in maniera sostanziale nella preparazione della modella, c’è sì un suo contributo, ma più come stylist.
Per questo ho messo il link all’articolo su Lindbergh e il suo approccio raw alla fotografia, che nel suo caso si riflette anche nel primo punto, perché non permette che le sue foto vengano ritoccate (sul ritocco c’è l’articolo di Smargiassi).
Nel primo punto ho parlato di immagine che viene fuori in modo disgraziato, perché dopo lo scatto in realtà non abbiamo nulla, se non una presa dati o una pellicola impressionata. Siamo comunque obbligati a sottoporre quello che abbiamo raccolto ad un processo, per esempio facendo produrre un jpg alla macchina o buttando il rullino in un minilab; in entrambi i casi non significa non aver processato l’immagine, ma non aver avuto nessun controllo sul processo. Per questo nessun professionista dovrebbe farlo: è ovvio che si deve scattare in raw e poi si “sviluppa” il raw in un programma tipo Photoshop Lightroom (che non è Photoshop!). Se però l’immagine con lo sviluppo disgraziato è insensata e diventa interessante solo dopo lo sviluppo, c’è molto puzza di effetti speciali, sintomo che non è l’immagine ad essere interessante, piuttosto la post produzione.
Detto questo, non voglio lasciar intendere che lo stiylng o la post produzione (ed eventualmente il fotoritocco) non siano importanti, non facciano parte del processo fotografico o non debbano rientrare tra le competenze del fotografo: sono strumenti che in misura maggiore o minore utilizzano tutti, anche chi sostiene di non usarli (dire alla modella di mettersi solo una maglietta bianca è uno styling, così come scattare in jpg è una post produzione). Il problema è che quando un’immagine si basa sullo styling e la post produzione, allora non è una fotografia, perché mancano i ruoli decisivi della luce e della macchina fotografica.
Premesso questo, me la sento di affermare che la quasi totalità delle fotografie che non sono buone fotografie, falliscono proprio sull’essere fotografie. In compenso potrebbero essere delle buone immagini per lo scopo a cui devono servire.

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