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A sfocare troppo si diventa ciechi

Se non abbiamo dei problemi di vista e siamo rimasti senza occhiali o se non ci siamo appena svegliati dopo una sbronza clamorosa, tendenzialmente vediamo tutto bene a fuoco.
In caso contrario proviamo del disagio e strizziamo gli occhi per tentare di mettere a fuoco, oppure allontaniamo lo sguardo da ciò che non riusciamo a vedere nitido.
Tecnicamente la messa fuoco avviene solo su un piano, sarebbe a dire che se i nostri occhi hanno messo a fuoco a due metri di distanza, tutto quello che è più vicino o più lontano dovremmo vederlo sfocato.
Ma qui entrano in gioco due fattori: il primo è che il corpo umano è una macchina meravigliosa, quindi noi pennelliamo rapidamente con lo sguardo tutto il nostro campo visivo ed è il nostro cervello che poi ricostruisce e vede tutto a fuoco, il secondo è che qualunque sistema ottico ha una certa profondità di campo ovvero una porzione di spazio davanti e dietro il piano di messa a fuoco che noi percepiamo comunque come nitida.
Lo sfondo è confuso e non particolarmente
interessante. La messa a fuoco selettiva
concentra la nostra attenzione sul soggetto.
Foto di Martin Parr

 

Se scattiamo una fotografia, la macchina fotografica non ha a disposizione un cervello (non ancora, ma alcune apparecchiature almeno sulla messa a fuoco iniziano ad imitarlo) quindi se abbiamo messo a fuoco a due metri di distanza, a due metri di distanza sarà tutto bene a fuoco, man mano che ci avviciniamo o ci allontaniamo lo sarà meno. Quanto meno? Dipende dall’apertura del diaframma.
Quando parliamo di apertura di diaframma si crea un divario tra chi ha una buona attrezzatura e padronanza della medesima e chi no. Solo i primi hanno accesso al magico mondo dello sfocato: chi non ha un apparecchio che si possa utilizzare in modalità manuale, o non lo sa fare, o non ha un obiettivo di alta gamma che permetta di aprire il diaframma oltre un certo valore, non ha speranza.

 

Il palazzo sullo sfondo viene percepito come
lontano e si stacca dal soggetto.
Foto di Robert Doisneau

 

Per questa ragione, la foto non tutta a fuoco ma con una messa a fuoco selettiva e ampie zone sfocate, fa molto professionista o fotoamatore figo ed è per questo preciso motivo che ne viene fatto uso e abuso da parte di entrambe le categorie. Parlo di abuso, perché la messa a fuoco selettiva, come tutti gli strumenti espressivi a disposizione del fotografo, andrebbe utilizzata quando ha senso farlo e non come un semplice esercizio di stile e prevaricazione sul fotoamatore alle prime armi.
Sicuramente la questione è spinosa e dipende molto dal gusto personale, ma io nello sfocato ci vedo un senso sostanzialmente in tre casi.

 

La protagonista è la giocatrice. I personaggi sullo
sfondo devono essere visibili per creare l’ambiente
ma sono resi meno importanti dalla sfocatura.
Foto di Richard Avedon.

 

Quando voglio focalizzare l’attenzione dell’osservatore su un elemento dell’immagine, quando voglio eliminare uno sfondo privo di interesse,  quando voglio dare profondità all’immagine, ovvero dare la sensazione che cosa non è in primo piano sia più lontano.
Nelle tre foto di Parr, Doisneau e Avedon che ho portato come esempio lo sfocato non è estremo ma ben dosato, mentre nella foto del bambù, volendo isolare l’unica canna con l’incisione da un intero canneto, ho aperto al massimo il diaframma  del mio obiettivo Nikkor 50mm f/1.4. Non che nella foto ci sia un messaggio profondo (a meno di non cercarlo nella scritta in cinese di cui ignoro il significato) ma lo sfocato ha almeno il senso di focalizzare l’attenzione sull’unica cosa che mi interessava. La luce che si infilava tra le canne ha anche creato due o tre spot del famoso bokeh, lo sberluccichio che si ottiene soltanto con un obiettivo dotato di diaframma a lamelle.
Fermo restando che ognuno è libero di sfocare come e quanto gli pare, mi capita spesso di vedere delle fotografie dove si fatica a capire il motivo per cui non debba essere tutto perfettamente a fuoco. Il dubbio che mi viene sempre è che, date le premesse, lo si faccia per dare all’immagine quella patina professionale, o per lo meno ricercata, e renderla distinguibile da un prodotto amatoriale. Lo capisco perfettamente, a volte capita di trovarsi a fotografare della roba che non ha né capo né coda e dover tirar fuori una fotografia accattivante in poco tempo. Ma a volte ci si potrebbe sforzare un po’ di più, specialmente se si fotografa per passione.

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