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gli studenti e i pornogattini

E’ di questi giorni la notizia che un gruppo di mutandari organizzato,  ha giudicato oscene le nudità esposte in una mostra al Campus Einaudi. Non so se “oscene” è la parola utilizzata dai detrattori o se è quella riportata dai giornalisti, in ogni caso il concetto è chiaro: piselli e bagiane non si possono far vedere, non è il caso, non è opportuno. Immagino come al solito “a meno che il nudo non sia artistico” (come si premurano di specificare gli organizzatori), ma qui si entra nel campo minato di definire cos’è arte e cosa no.

 

dal progetto “Il triangolo di cielo”,
la foto è mia

 

Partiamo allora dal lato opposto, e prendiamo dal dizionario Treccani la definizione di pornografìa: “Trattazione o rappresentazione (attraverso scritti, disegni, fotografie, film, spettacoli, ecc.) di soggetti o immagini ritenuti osceni, fatta con lo scopo di stimolare eroticamente il lettore o lo spettatore: fare della p.; è un film che contiene solo p.; una campagna moralizzatrice contro la p.; un’opera in bilico tra raffinato erotismo e triviale pornografia.”    
 
Al di là del fatto che si parla di immagini “ritenute oscene” perché ovviamente cosa è osceno è tutt’altro che soggettivo e varia in base a fattori storici e culturali, si dice che lo scopo è quello di stimolare eroticamente lo spettatore. Un po’ come dire che un’immagine pubblicitaria ha lo scopo di stimolare lo spettatore all’acquisto. Il che è corretto, solo che lo stimolo all’acquisto è qualcosa di accettato dalla nostra società mentre lo stimolo erotico è qualcosa che magari va anche bene ma se te lo fai a casa tua. Per questo è molto meno frequente che qualcuno si lamenti per essersi imbattuto per caso in uno stimolo all’acquisto in un luogo che non ritiene appropriato, piuttosto che brontoli per uno stimolo erotico inaspettato.

 

lo scopo di questa foto, che è pure brutta,
è unicamente quello di farvi invidia

 

Il concetto cardine in tutto questo è lo scopo. Ogni immagine deve essere fatta con uno scopo, altrimenti è come blaterare a vanvera. L’onestà del fotografo sta nel non nascondersi dietro ad un dito e dire che la foto ha lo scopo di sensibilizzare su un certo tema quando invece vuole vendere un prodotto, o di dire che sta indagando i vari aspetti della femminilità quando gli andava solo di fotografare della gnocca. La progettualità del fotografo sta nello stabilire, prima di azionare l’otturatore, qual è lo scopo per cui sta realizzando quella fotografia, mentre la sua capacità sta nell’usare il linguaggio giusto per raggiungerlo.

I milioni di foto di gattini che invadono internet sono del porno allo stato puro: non hanno altro obiettivo se non stimolare la nostra naturale reazione pucciosa facendoci provare piacere, non vi è altro senso, scopo o fine. Nello stesso modo #foodporn è diventato un hashtag estremamente popolare. Nessuno se ne vergogna, nessuno se ne lamenta, guardare del cibo e desiderarlo non è considerato da sporcaccioni e il voyeurismo culinario ormai non conosce limiti.

Tornando alle foto esposte al Campus Einaudi, l’unica domanda che ha senso non è se sono oscene o no, se è arte o no,  ma qual era il loro scopo e se l’hanno raggiunto.  Tratta da La Stampa la spiagazione dell’autore: «Abbiamo voluto ritrarre il quotidiano – aggiunge l’autore degli scatti, il neolaureato Mirko Isaia – in quel quotidiano dove la nudità spesso crea vergogna».
Magari non c’è riuscito, ma i bragettoni non si stavano certo lamentando di questo.

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