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Food photography con un concept “fashion”

Perché la food photography sta invecchiando male

Nel blog non parlo mai volentieri dei miei lavori. Non penso che sia utile a nessuno che questo spazio diventi un canale di promozione in tal senso. Questa volta faccio un’eccezione perché è un progetto di food photography particolare, essendo nato sotto la buona stella del “fate voi, mi fido”.

L’impavido committente è Christian Mandura, chef del ristorante Geranio di Chieri (ora chef di Unforgettable), il soggetto da fotografare erano i suoi piatti. Chiaramente la questione non era né fotografarli bene, né fotografarli meglio degli altri, tantomeno farlo strano per farlo strano.
La soluzione non poteva essere esclusivamente tecnica, avremmo forse catturato l’occhio ma difficilmente dato qualcosa di cui parlare, in assenza di contenuti. Ci siamo quindi chiesti come superare l’attuale presentazione dei piatti, non dal punto di vista estetico, ma sostanziale.

Finora, pur avendo assistito nel corso degli ultimi venti, trent’anni ad un’evoluzione estetica nella rappresentazione del cibo, che va di pari passo con l’evoluzione dell’alta cucina. Per cui si è passati dalla tavola imbandita di fine anni ’80 fino all’attuale rappresentazione estetizzante e quasi astratta del piatto. Il punto centrale è sempre stata la raffigurazione del cibo.

Ridotto all’osso lo scopo dell’immagine è sempre stato quello di invogliare ad assaggiare il piatto facendo leva su ciò che a seconda dell’epoca poteva attrarre il cliente. Il lusso, la ricercatezza, la tecnica, la sperimentazione, ma sempre presentando in maniera centrale e descrittiva il prodotto che andava consumato.
E continua ad esserlo ancora oggi. Si varia l’estetica, ma non il succo: il prodotto è centrale.

Nell’alta moda il prodotto non è più centrale da tempo

Ci siamo quindi chiesti cos’è oggi un ristorante e chi è oggi uno chef, come è percepito mediaticamente e cosa può orientare la scelta di un cliente verso un ristorante piuttosto che un altro, cercando di capire a quale altro settore si sarebbe potuto paragonare quello che è la ristorazione oggi.

Ci è sembrato che uno dei paralleli più potabili fosse quello con l’alta moda. Uno non decide di comprare un abito di Valentino perché ne ha visto una foto su un catalogo, ne ha apprezzato le qualità e ha pensato che potrebbe stargli bene addosso. Compra un abito di Valentino perché è un Valentino. Decide prima di comprare un Valentino e poi va a scegliere quale abito in particolare.

Sopra un certo livello non stai più vendendo il prodotto, stai vendendo la tua maison, le tue idee, la tua storia.
Per cui, se prima viene la tua immagine e successivamente la scelta di un prodotto in concreto, la tua immagine di punta, qualunque cosa tu stia vendendo, deve assomigliare più ad un’immagine di moda che ad una di catalogo.

Quindi abbiamo deciso di tagliare la testa al toro, dimenticarci di tutto quello che sappiamo sulla food photography e ci siamo messi a ragionare come se dovessimo realizzare un fashion editorial. Siamo partiti da un moodboard, abbiamo pensato alla location e ai props e a conciliare il tutto con la presenza di un piatto, che chiaramente non sarebbe stato il centro dell’interesse, così come non lo sarebbe stato il vestito.

Abbiamo pensato ad un’atmosfera da gangster e da film noir, ci è venuta in mente l’estetica di Weegee con il flash sparato e le sue ombre dure. Una situazione equivoca tra donne, automobili, fotografie e ovviamente cibo, con un fil rouge che attraversa le cinque immagini, partendo e tornando in cucina.

Il progetto è piaciuto, siamo motivati a continuare, speriamo presto di farvi vedere altri lavori su questa linea.

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