Il nostro Ritratto Fine Art

ritratto fine art

Lo so che un articolo sui servizi fotografici fine art sembra un’auto-marchetta per parlarvi del nostro ritratto fine art, però la prima regola del ritratto fine art è parlare del ritratto fine art.

In realtà in questo articolo vi racconto anche come nasce un ritratto nel nostro studio.

Possibili approcci al servizio fotografico

Nel concetto stesso di “servizio fotografico” si suppone una certa servizievole subordinazione del fotografo alle esigenze del cliente.
Restando nell’ambito della fotografia di ritratto, possiamo identificare grossomodo tre livelli di subordinazione in cui il fotografo si può identificare:

1) Non ho uno stile mio: mi butto su cosa va di moda cercando di realizzarlo nel modo più piacione possibile.

2) Ho un mio stile e un mio portfolio: lascio comunque decidere al cliente in quali tra le immagini da me proposte si riconosce maggiormente.

3) Io sono un artista, non un semplice fotografo: sono creativo decido io come fotografare chi mi passa tra le grinfie.

Chiaramente il nostro studio ha scelto la seconda opzione, altrimenti non avrei connotato le altre in modo così caustico. Ciò non toglie che la prima sia una strategia commerciale più che legittima e che esista effettivamente qualcuno che può permettersi il terzo approccio.

I differenti approcci al ritratto dello studio Plastikwombat. Fotografa: Silvia Vaulà.

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Come lavoriamo in studio

Più seriamente, vi spiego come lavoro con il cliente che vuole farsi ritrarre.
Innanzitutto gli faccio visualizzare il mio portfolio: se non gli piace dovrebbe scappare subito, anche se gli sono stata consigliata da un amico fraterno, altrimenti entriamo solamente in una valle di lacrime e dolore.


Se invece apprezza, cerchiamo di capire insieme non tanto le foto che gli piacciono di più, ma quelle in cui si vedrebbe meglio, analizzando per ognuna quali sono gli elementi che preferisce e quelli che lo convincono meno.
A quel punto sono in grado di elaborare delle proposte, di fargliele pre-visualizzare il più possibile anche attraverso delle mood board e sono anche sicura di poter realizzare quanto promesso, per il semplice motivo che si tratta di una variazione di una foto che ho già fatto.


Intendiamoci, l’immagine risultante può apparire molto diversa, e questo è un bene, ma la parte tecnica ripercorre qualcosa di già realizzato.
E non può che essere così, perché venderei la pelle dell’orso prima di averlo catturato se proponessi una fotografia che magari ho idea di come si possa realizzare ma che onestamente non ho mai provato a fare.

Esempi di foto che potevano anche non funzionare. Fotografa: Silvia Vaulà.

Come non fossilizzarsi

Mi limitassi a fare foto che sono sicura che vengano bene, continuerei a rimestare nella stessa casseruola e non renderei un buon servizio ai miei clienti.
Per fortuna ho un pool di volontari pronti ad immolarsi per ogni mio esperimento fotografico e a testare come cavie ogni nuova attrezzatura varchi la soglia del mio studio: è da qui che inietto nuovo carburante nel portfolio.

Ma non tutto quello che si produce in queste sessioni finisce nel portfolio. Qualcosa finisce direttamente in pattumiera, come per ogni esperimento che si rispetti. Qualcosa lo metto nel mio portfolio, ma separato dalle proposte per i clienti, semplicemente perché ha delle caratteristiche difficilmente ripetibili. Può essere perché funziona soltanto con un tipo specifico di fisionomia, perché è di difficile realizzazione e richiederebbe troppo tempo in sala pose senza la certezza del risultato, perché è frutto di un istante fortuito e mille altri motivi che non lo rendono commercialmente proponibile.

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Qui entra in gioco l’idea di “Fine Art”

Di qui nasce la proposta del nostro “Fine Art Portrait” che effettivamente significa che, come nel punto 3, una volta tra le mie grinfie uno si becca cosa avevo in mente, che magari non funziona, ma nel frattempo ne ho pensata un’altra e gli tocca provare pure quella.


Può sembrare crudele ma è l’unico modo di procedere che conosco per ottenere un certo tipo di immagini, quelle che oggi vanno sotto il nome di “Ritratto Fine Art”, che spesso sono le più interessanti.
Dato che non ho la velleità di definirmi artista, né ho un critico che converta in oro ogni mia porcata, sono pronta ad accettare il fallimento: se la foto non ci piace, finisce con una stretta di mano e nulla è dovuto.

Non sono d’accordo invece con chi chiama “Fine Art” un servizio pensato per compiacere il cliente. Qui il punto non è la qualità, ma l’intenzione con la quale si fa una fotografia.
Leggi questo articolo per approfondire sulle pratiche commerciali e sull’impossibilità di definire una foto come Fine Art .

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Questo è il blog dello Studio Fotografico Plastikwombat, Silvia Vaulà e Paolo Grinza fotografi

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