Jeff Wall alle Gallerie d’Italia

mostra jeff wall alle gallerie d'italia

Jeff Wall in mostra a Torino alle Gallerie d’Italia
Dal 9/10/2025 al 1/2/2026

Perché visitare la mostra

“JEFF WALL. PHOTOGRAPHS” ripercorre la carriera dell’artista dalle foto dei primi anni ’80 ai giorni nostri, tra cui The Gardens, un grande trittico ambientato nel Giardino di Villa Silvio Pellico a Moncalieri.

Se non conoscete l’autore è una buona occasione, in caso contrario è un’interessante retrospettiva.
Mancavano le nostre preferite, ma non vogliamo sbilanciarci perché in fondo preferiamo Gregory Crewdson.
Vi lasciamo qualche nostra riflessione sulla fotografia, che crediamo più utile di una vera e propria recensione della mostra.

Cinema e fotografia

Il rapporto che il cinema e la fotografia hanno con la realtà, dal punto di vista tecnico è praticamente lo stesso. Ciò che si trova davanti all’obiettivo viene impressionato sulla pellicola (o catturato da un sensore): un solo fotogramma per la fotografia, una successione di fotogrammi che ricostruiscono il movimento per il cinema.

Innegabilmente però, ancora oggi a circa due secoli dalla nascita di entrambi, dalla fotografia ci si aspetta un’aderenza alla realtà che non ha un corrispondente nel cinema.
Non solo al cinema si accetta che sia tutto inventato, recitato e ricostruito, ma addirittura si applaudono effetti speciali e scene in CGI, mentre in fotografia anche un lieve ritocco in Photoshop fa ancora storcere il naso a molti.

Probabilmente perché la fotografia è stata inizialmente percepita come un’alternativa semplice ed economica alla pittura figurativa, salvo poi emanciparsi elaborando un suo linguaggio proprio, mantenendo tuttavia la sua aura di oggettività. Per questo è stata molto presto utilizzata a scopo documentaristico: con tutti i caveat del caso, è innegabile che ciò che l’apparecchio fotografico cattura sia successo in quel momento davanti al fotografo.

Il cinema invece è un’evoluzione delle lanterne magiche che, come già il nome suggerisce, sono pensate per stupire, affascinare, meravigliare con l’illusione di figure in movimento. Forse è anche per questo che parliamo di “magia del cinema” e mai di “magia della fotografia”.

Dalla fotografia al cinema e ritorno

Se da un lato la fotografia entra naturalmente nel cinema, con la cura per l’illuminazione, l’inquadratura, la scelta del piano e del punto di vista, dall’altro le esigenze narrative e di montaggio contribuiranno a sviluppare un linguaggio e un’estetica della fotografia cinematografica che vivranno un’evoluzione autonoma.

Ma in un mondo che fortunatamente non è a compartimenti stagli, l’estetica cinematografica ha finito con l’influenzare i fotografi e la fotografia, in modo più o meno dichiarato.
In Untitled Film Stills (1977-1980), Cindy Sherman (1954) dichiaratamente si autoritrae interpretando dei ruoli stereotipici femminili del cinema dei decenni precedenti. Benché il tema trattato da Sherman sia la costruzione dell’identità, questo suo lavoro rappresenta un ingresso esplicito dell’estetica cinematografica in fotografia.

La visione cinematografica entra prepotentemente anche nella fotografia documentaristica e di reportage. Visto che in questo momento è visitabile a Palazzo Barolo la mostra “Gli italiani” di Bruno Barbey possiamo prenderlo proprio come esempio dell’influenza del cinema neorealista nella scelta e nell’approccio al soggetto.

Per parlare di vera e propria staged photography normalmente si fa riferimento a Jeff Wall (1946) come suo primo esponente, partendo dalla sua opera The Destroyed Room (1978).

La staged photography

La Staged Photography viene normalmente definita come un genere fotografico in cui l’immagine non viene catturata spontaneamente, ma è pianificata e organizzata come una scena teatrale o cinematografica.
La principale differenza rispetto ad altri tipi di fotografia, in cui la scena è comunque completamente fittizia e ricostruita, sta proprio nel fatto di non voler sembrare un’immagine a sé stante, ma il fotogramma di un film a cui precede e segue un’azione.

Non si tratta quindi solamente di utilizzare una fotografia di tipo cinematografico, ma di dare l’impressione di aver colto l’attimo di una situazione in divenire.

Se per alcune foto, soprattutto in strada come Mimic o la stessa Destroyed Room, potremmo pensare a degli avvenimenti reali, in altre come The Thinker (ispirato all’omonima scultura di Rodin) o The Gardens (in mostra a Torino) la regia è chiara e manifesta.

Come sempre, una volta che l’autore ci dichiara onestamente la natura della sua opera, sta a noi scegliere di credergli o no. La realtà spesso non è più vera dell’immaginario.

 

Questo è il blog dello Studio Fotografico Plastikwombat, Silvia Vaulà e Paolo Grinza fotografi

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